L’invenzione dei reati di “pericolo comune” o contro l’incolumità pubblica [cfr. ALESSANDRI, 131] ha storicamente comportato un cambio di paradigma nella protezione penale dei beni personali. Alla classica tutela individuale ne è stata affiancata una “preventiva”, collocata nella dimensione super-individuale e collettiva, mediante estensione della rilevanza dello spettro offensivo a situazioni “anticipate” che rappresentano una minaccia verso un numero indefinito di possibili vittime. Dal nucleo originario di incriminazioni “classiche” – che ha il suo archetipo nell’incendio e in altri sparuti fatti riguardanti lo scatenamento di forze della natura – è venuta consolidandosi, «a partire dall’esperienza giuridica del tardo diritto comune», questa «nuova categoria di reati, incentrata sul pericolo comune, ossia sulla causazione di un evento dannoso suscettibile di mettere a repentaglio la vita, l’incolumità fisica, la salute (e il patrimonio) di una pluralità indeterminata di persone» [(e) GARGANI, 571]. In seguito – per lo meno nel nostro ordinamento, oltre che in quello germanico – il loro numero è andato progressivamente crescendo in funzione dei “nuovi pericoli” derivanti dallo sviluppo sociale, economico, tecnologico, industriale.